Non sono alta, ma non sono bassa o meglio non sono mini, però sono seduta. Non arrivo dove arrivi tu, ma ho misure contenute per essere trasportata. Il progresso, le scoperte tecnologiche non sono indicatori certi di inclusione. Tutt’altro. Io cerco di fare quello che fai tu trasformandomi in un mix tra Mc Gyver e una giovane marmotta: uso l’ingegno e qualche altro aiuto.
Il design, la modernità, il progresso non sono certezze per rendermi una vita facile, anzi spesso la complicano. La mia vita è un continuo progetto tra le idee che mi vengono, i miei limiti oggettivi, gli oggetti che reinvento per farmi raggiungere gli obiettivi. La mia vita è un caos, piacevole, ma macchinoso, forse dovrebbero darmi la laurea ad honorem in ingegneria.
Autonomia
/au·to·no·mì·a/
sostantivo femminile
- Libertà di agire
- In filosofia: autonomia etica, il potere dello spirito di dare a sé stesso la propria legge.
Dopo l’arrivo della mia auto, questa parola mi accompagna come mantra e inizio a far fatica a dovermi far aiutare dagli altri, a dover dipendere in certe cose. Ad esempio quando viaggio in aereo, l’aeroporto si trasforma in un percorso ad ostacoli, dove ho costantemente bisogno di qualcuno che mi aiuti a raggiungere il mio posto sull’aereo. Non posso mai viaggiare da sola in questo caso, gli spazi sono troppo estesi da attraversare e così mi trasformo in un pacco da trasportare, tanto il mio ingombro è proprio quello. Ai controlli non riesco a spostare il mio bagaglio sul bagaglio, se mi perquisiscono non riesco a rinfilarmi le scarpe. In viaggio di ritorno da Valencia mi hanno separato dai miei amici per riservarmi una corsia preferenziale, facendo così mi hanno limitata ancora di più: le prove anti-droga mi hanno obbligata a rimanere senza scarpe fino all’imbarco perché da sola non riuscivo a rimetterle e non mi andava di chiedere aiuto agli agenti. Spesso dimentico di avere queste limitazioni, ci pensano l’ambiente in cui viviamo e la società a farmelo ricordare.
Vi ho già raccontato l’esperienza mistica che affronto ogni volta che devo utilizzare un bagno pubblico: sempre troppe maniglie che invece che aiutarmi mi impediscono di muovermi, non arrivo mai al lavandino per lavarmi le mani o per controllare la mia faccia allo specchio, allora cerco di trovare soluzioni alternative e mi lavo con una bottiglietta di acqua gasata. Tutta quell’anidride mi fa un effetto anti-rughe che consiglio a tutti. Mi trovo molto spesso in situazioni che sono diversamente igieniche.
Vorrei avere un grosso megafono e sedermi al tavolo di chi progetta ausili per migliorare la vita di una persona disabile, che si perde tra mille calcoli e leggi, ma che non ne conosce la reale fattibilità e utilità. Sanno solo sfornare certificazioni sterili che decretano l’ACCESSIBILITÀ, ma per chi? Quale esigenza viene colmata con questi nuovi progetti?
Il bagno sarà sempre un esempio di progettazione che interferirà con la mia dignità, stessa cosa per situazioni meno intime come recarsi al bancone del bar per ordinare la colazione. Essendo seduta in basso o non mi vedono e non colgono l’ordinazione o non ho un punto di appoggio per il mio caffè e ogni volta rischio di farmi male davvero o di rovinare tutto.
La stessa progettazione interferisce anche con la mia immagine, sui vestiti che voglio indossare. Ho 36 anni, ho misure ridotte per certi aspetti, rincorro la moda, ma non posso comprare nel reparto bambini: non ha senso vestirmi come una bambina di 6 anni con la terza di seno. L’abbigliamento da donna incontra il mio gusto, ma si scontra con la mia altezza, ci sono sempre troppe modifiche da fare e da pagare oltre al prezzo del capo. Voglio scarpe col tacco che non consumerò mai e invece mi devo accontentare di sneaker con strappi e lucine.
Mentre vengo privata di normali libertà, sono costretta ad essere servita dal prossimo anche se vorrei cavarmela da sola, io devo contare sugli altri, sulla loro gentilezza, ma non tutti lo sono. Divento consapevole della mia diversità quando qualcuno mi indica, mi fissa, ride, mi dà un nomignolo o mi fotografa di nascosto e credetemi, succede quotidianamente. I social, però mi danno una grande opportunità di avere una gran voce come persona e professionista della comunicazione, ma nello stesso tempo mi hanno reso vulnerabile quando ho incontrato haters e hanno fatto di me un meme, ovviamente senza il mio consenso. Siate consapevoli che la parola nana è un insulto. Si è evoluto dai circhi e freak show di Barnum. La società però si è evoluta, così deve fare anche il lessico. La lingua è un potente mezzo che non denomina solo la nostra società, la plasma. Sono fiera ora di essere nana, ma lo sono ancora di più di essere Valentina.
Bisognerebbe investire sulla domotica, uniformare la concezione di abbattimento di barriere architettoniche attraverso l’uso della tecnologia in modo pratico e consapevole: accendere le luci, un elettrodomestico, chiudere le tapparelle, aprire un cancello, tutto con il proprio smartphone senza farmi spostare, alzare, faticare, senza più problema di non arrivare ad un pulsante di vitale importanza. Mettere in sintonia il progresso con il reale bisogno per superare un limite. Voglio sfidare la concezione secondo cui la progettazione è un mezzo che unisce funzione e bellezza. La progettazione ha un grande impatto sulla vita delle persone, di tutte. È un modo di sentirci parte di questo mondo, ma anche il modo di rispettare la dignità di qualcuno e i loro diritti umani. La progettazione può anche incidere sulla vulnerabilità di un gruppo le cui necessità non vengono prese in considerazione. Per chi non stiamo progettando, chi non merita i nostri investimenti?
Progettare, riuscire a creare un privilegio è un dono enorme, ma anche una grande responsabilità.